Presentazione

PRESENTAZIONE

di Marina Nordera

 

 

 

Questo volume è il risultato dei lavori presentati al primo Convegno AIRDanza dal titolo Ricostruzione, ri-creazione e rivitalizzazione della danza, tenutosi al Museo di Roma in Trastevere il 26 e 27 aprile 2003. Il convegno, concepito e organizzato dal Comitato scientifico e organizzatore eletto dall’assemblea dei soci di AIRDanza, che l’ha finanziato, è stato reso possibile grazie alla cortese collaborazione del Comune di Roma, Assessorato alle Politiche Culturali, dalla Sovraintendenza ai Beni Culturali e dal Museo di Roma in Trastevere, che ha accolto e sostenuto logisticamente i lavori.

L'Associazione Italiana per la Ricerca sulla Danza - AIRDanza - è nata formalmente alla fine del 2000 e legalmente nell'aprile 2001 per iniziativa di un gruppo di studiosi che a vario titolo e da varie prospettive si occupano di danza. Tra i suoi scopi, l’Associazione si prefigge di promuovere, coordinare e potenziare gli studi teorici e storici nonché la ricerca intorno alla danza; di raccogliere e far circolare a livello nazionale e internazionale informazioni, progetti di ricerca, convegni, pubblicazioni, programmi di università, accademie e altri istituti analoghi; di censire e valorizzare il patrimonio documentario italiano, promuovendone e coordinandone progetti di catalogazione, verso la costituzione di un archivio pubblico nazionale della danza, virtuale, cartaceo e audiovisivo; di favorire le relazioni tra gli studiosi e tra le diverse istituzioni italiane e straniere.
Nonostante che negli ultimi anni più di un passo valido sia stato fatto in direzione di un ampliamento e un approfondimento metodologico degli studi sulla danza, tuttavia la ricerca continua ad essere sommersa, frammentata, dislocata in varie sedi ed istituzioni, condotta da ricercatori che molto spesso lavorano nell'isolamento. Per una disciplina di acquisizione tutto sommato recente nel panorama degli studi anche internazionali si aprono due prospettive di grande ricchezza: da un lato la vastità e le innumerevoli possibilità del lavoro sulle fonti primarie: dal reperimento al censimento, catalogazione, edizione e pubblicazione. Dall'altro la necessità di una riflessione teorico-metodologica fondante che situi la disciplina in un dibattito più ampio e ne qualifichi l'apporto specifico nell'ambito della storia della cultura. Per la realizzazione dei suoi scopi l'impegno di AIRDanza si rivolge in entrambe le direzioni. L’Associazione vuole essere un organismo neutro ed efficiente, elemento di coordinamento tra ricerca universitaria e accademica, divulgazione, teatro di danza, mezzi di comunicazione. Essa si pone inoltre come interfaccia rispetto alle istituzioni che tradizionalmente considerano la danza come un’arte minore, che esaurisce il suo messaggio in una pratica di spettacolo ritenuta avulsa dal contesto storico-culturale che la genera. 

Il primo convegno AIRDanza, primo momento di incontro tra i soci e aperto ad un più ampio pubblico, si è rivelato occasione di discussione e di un fruttuoso scambio di riflessioni. Il tema - Ricostruzione, ri-creazione e rivitalizzazione della danza - scelto da un comitato eletto dall’Assemblea dei soci, oltre ad aprire un’area di ricerca e di riflessione ancora da esplorare, per la sua trasversalità consentiva di abbracciare le diverse anime dell’associazione, prestandosi a sollecitare l’interesse di storici, teorici e insegnanti di danza, coreografi, ricostruttori ed etnocoreologi.

Fondata sulle dinamiche corporee, mobile architettura che vive nello spazio e nel tempo, la coreografia sembra, a differenza delle altre arti, segnata dal destino della scomparsa. Nei secoli, diversi sistemi sono stati elaborati per assicurarne la sopravvivenza e la trasmissione. Quanto si perde ineluttabilmente e quanto è possibile conservare di una coreografia originale? Fino a che punto incide la personalità, come intenzionalità poetica, caratteristiche di interprete e pensiero critico, del ricostruttore? Quanto è destinato a cambiare lo stile di una coreografia, al momento in cui sono corpi diversi, formati con una pluralità di tecniche diverse da quelle originali, a interpretarla? Una ricostruzione filologica, che rigorosamente cerchi di avvicinarsi alla verità storica della prima presentazione scenica, è senz'altro quella che riesce a restituire anche il profumo dell'opera originale? Fino a che punto lo stile è essenziale alla struttura di una coreografia? Dobbiamo accontentarci di ricostruzioni precise e inerti, o di altre che, più attente al modificarsi del gusto e delle culture, non guardino alla assoluta fedeltà filologica come obiettivo non trasgredibile? Sono possibili altre soluzioni? E che cosa accade quando queste problematiche investono il campo della danza non più in quanto arte, ma in quanto pratica sociale di epoche, paesi e comunità diverse, nelle manifestazioni tradizionali legate al farsi dell’identità, che strutturano la costruzione culturale dei corpi e che si rivelano profondamente ancorate alla dimensione politica e alle sue rappresentazioni? Questi sono soltanto alcuni degli intriganti problemi che toccano l'ambito della trasmissione della danza. Ad essi e ad altri, individuati da alcuni dei più appassionati ricercatori in ambito italiano, sono state dedicate le nostre due giornate di studio.
Il convegno era organizzato in sei parti, di cui quattro sessioni tematiche, un workshop e una tavola rotonda. Il presente volume mantiene la stessa scansione. I testi qui presentati sono stati lievemente rielaborati ed uniformati per soddisfare le esigenze di una presentazione scritta, ma non sono stati sottoposti ad un editing vero e proprio, nel senso che ci si è limitati ad omogeneizzarli per quanto possibile sulla base di norme redazionali comuni e ad eliminare le più ovvie incongruenze linguistiche. Ogni autore è dunque responsabile della forma e del contenuto del proprio contributo e ne detiene i diritti. 
La prima sessione tematica, dedicata alla “Trasmissione” si apre con lo studio di Nadia Scafidi che ha esaminato gli aspetti didattici e scolastici dell’insegnamento della danza in quella particolare istituzione denominata Liceo femminile, che venne attivata in Italia nel 1923, nel quadro della riforma scolastica del ministro Giovanni Gentile. Tale insegnamento non solo era curriculare come già negli Educandati, ma era oggetto di un esame finale basato principalmente su nozioni storiche e teoriche. L’analisi di Scafidi prende in esame la comparazione con le similari istituzioni francesi e austro-ungariche a livello dei programmi, degli obiettivi scolastici e della didattica (inquadramento dei insegnanti di danza, requisiti professionali, metodo), nonché la ricostruzione della lezione di danza, soprattutto degli annessi aspetti storico-teorici.
Restando in una prospettiva storica legata all’insegnamento, Elena Viti propone la ricostruzione di una lezione di propedeutica della danza completa di musica di accompagnamento, relativa al primo periodo di attività dell’Accademia Nazionale di Danza. Il corso di propedeutica è presente fin dal 1940 nei programmi della Regia Scuola di Danza fondata da Jia Ruskaja e destinata a diventare in seguito (1948) Accademia Nazionale. La relazione orale presentata al convegno comprendeva un filmato realizzato con un gruppo di bambine di età corrispondente (8-10 anni) del corso di propedeutica attualmente attivo in Accademia, che purtroppo non siamo in grado di accludere a questa pubblicazione. Gli esercizi creati negli anni Quaranta e Cinquanta per il corso di propedeutica costituiscono un patrimonio tecnico e storico di valore, in quanto sono stati per molti anni un punto di riferimento a disposizione degli insegnanti che si rivolgevano ai bambini.

La seconda parte, dal titolo Tradizioni, traduzioni, tradimenti è introdotta dal saggio di Vito di Bernardi Riflessioni sull’eredità della danza hindu nel Novecento. L’intervento si occupa di alcuni segmenti novecenteschi della storia della reinvenzione continua della tradizione coreutica hindu, la quale, già dettagliatamente documentata nel Natyashastra, il trattato indiano sulla danza (IV sec. D.C), non può essere considerata come un fenomeno culturale unitario ma piuttosto come un vero e proprio sistema multiplo di saperi performativi in cui si sommano tecniche rituali e tecniche teatrali. I casi studiati sono: l’orientalismo di Ruth St. Denis in Radha, assolo del 1905 ispirato alla religiosità indiana; l’esperienza del danzatore indiano Ram Gopal, che a partire dagli anni Trenta tenta di immettere la tradizione coreutica indiana dentro il grande movimento di riforma che dopo Diaghilev attraversa il mondo del balletto affascinato dal mito di Nijinsky; infine, l’utilizzo dell’eredità delle danze hindu come collante dell’unità nazionale in India, in Indonesia e Cambogia, in reazione a colonialismo e post-colonialismo.
Accompagnandoci nell’esplorazione di altri territori extraeuropei, Maria Pia D’Orazi ci offre una riflessione sul Butô: la tradizione dell’avanguardia, che nasce da un’esperienza di collaborazione con il danzatore giapponese Masaki Iwana. In particolare, si presenta il lavoro di sistematizzazione teorica della danza butô, che Iwana ha iniziato parallelamente alla sua attività di insegnamento e che costituisce il primo tentativo di creazione di un metodo dopo l’esempio del fondatore Tatsumi Hijikata (scomparso negli anni ’80). Un risultato che ritrova lo spirito originario del butô e nello stesso tempo riallaccia il legame della danza con l’epoca contemporanea, attraverso l’indicazione di un lavoro sul corpo che procede utilizzando una serie di modelli dell’energia.
A conclusione di questa sessione, torniamo in Italia con i Balli di confine presentati da Paolo Pellarini, che indaga sotto il profilo storico e folclorico le ascendenze, le influenze (mediterranea, nordica e slava), le strutture fondamentali e le ricostruzioni di alcune forme coreutiche e musicali presenti nel Friuli Venezia Giulia. In particolare i balli studiati comprendono le “schiave”, alcuni balli trascritti da Giovanni Comelli di Nimis in tempi 3/4 e 2/4 e la “Cyndara”, un ballo atipico a serpentina (rispetto agli altri prevalentemente in tondo).
L’intervento di Enrica Bizzarri, dal titolo Coté cour - Coté jardin: il giardino, la scena, la danza alla corte del Re Sole inaugura la terza parte del Convegno, dedicata a La ricostruzione: casi di studio, modalità e tecniche. Bizzarri mostra come nella Versailles di Luigi XIV danza, teatro e giardino trovino la loro scena ideale e come la Chorégraphie di Feuillet abbia straordinarie corrispondenze nei parterres de broderie dei Mollet e di Dezailler d’Argenville, nel progetto eliocentrico dei giardini e nella ritualizzazione dei percorsi di visita, imposti dallo stesso Re Sole. Si comprende cosi come la relazione messa in luce tra la concezione coreografica e la progettualità dei giardini barocchi possa contribuire agli studi sulla ricostruzione coreografica.
Ma la fonte principale per la ricostruzione delle composizioni del passato, seppur rara, resta la notazione coreografica. Ce ne presentano un prezioso esempio Gloria Giordano e Ornella di Tondo nella relazione dal titolo Madamigella La Vallière, “Appunti coreografici” manoscritti di Gioacchino Coluzzi (Firenze, 1878). Gli appunti manoscritti autografi del “ballo grande romantico” eseguito con notevole successo al Teatro Principe Umberto di Firenze sono conservati nell’archivio dell’impresario Alessandro Lanari custodito alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Tali documenti, come ben dimostrano le autrici attraverso la descrizione, l’analisi, una proposta di ricostruzione e una folta messe di riferimenti storici e bibliografici, costituiscono un nuovo tassello per la ricostruzione del repertorio coreografico italiano dell’Ottocento e vanno ad inscriversi tra i già noti documenti di Enrico e Cesare Cecchetti, nonché di Nicola Guerra.
In riferimento proprio a quest’ultimo coreografo italiano Francesca Falcone presenta un’analisi della trascrizione coreografica e una proposta di ricostruzione della Schéhérazade presentata alla Wiener Staatsoper nel 1920, rese possibili dal ritrovamento di preziosi documenti negli archivi della famiglia Guerra. Il libretto e la trascrizione testimoniano delle nuove scelte adottate dal maestro italiano verso coreografie brevi concentrate su una notevole plasticità di movimento, su una ricerca di colore nei costumi e nelle scene e su una scelta musicale aderente al contesto ritmico della coreografia. L’intervento di Falcone è focalizzato sull’analisi della trascrizione coreografica della Schéhérazade e sulla comparazione con la versione di Fokine, alla luce di un’analisi esaustiva di tutta la documentazione visiva disponibile.

La quarta sezione tematica raccoglie Esperienze e riflessioni. Cristina Righi riflette su La traduzione coreografica e in particolare sul tema del “passaggio” nella danza. Tradurre, trasporre, trasdurre: termini che con valenze leggermente differenti, possono essere utilizzati per indicare il passaggio, il ponte che inevitabilmente si crea tra una coreografia e il processo della sua ricostruzione, ma anche tra la coreografia – la danza – e il suo metalinguaggio descrittivo.
Con il suo intervento Danza barocca oggi, tra diletto e professione, Deda Cristina Colonna ci fa condividere l’esperienza di un progetto didattico biennale della Scuola di Musica Antica di Venezia. La trasmissione della danza barocca è concepita come occasione di incontro, apprendimento e valorizzazione del repertorio, del territorio e dell’individuo un lavoro realizzato in forme spettacolari che rappresentino la fase conclusiva del processo di formazione.
Infine Joseph Fontano in Riproduzione, ricostruzione e revival coreografici sottolinea l’importanza di ricostruire il percorso originario e il processo creativo del coreografo e indica le diverse fasi necessarie a tal fine: la creazione di un laboratorio dove vengano riprodotte tutte le qualità dinamiche e l’uso musicale della coreografia, la riproduzione attraverso la memoria fisica (trasmissione diretta, video, film o notazione), la considerazione della drammaturgia, dell’aspetto visivo e del movimento che compongono la coreografia.

Nella consapevolezza che la ricerca in danza non può esimersi dall’esperire le sue pratiche, il comitato scientifico che ha concepito la struttura del convegno ha incluso nel programma un workshop tenuto da Gloria Giordano e Marcello Cofini e incentrato su Il saltarello “danza figurata”. Questo seminario teorico-pratico ha introdotto i partecipanti del convegno ad un repertorio che, pur basandosi sulla tradizione etnica, si diversifica in primo luogo da essa, e dalle forme di stilizzazioni quali la danse de caractère e de salon, per costituire un primo tentativo di definizione “colta” della tradizione popolare cui si riferisce, in un primo corpus di danses nationales. Quest’ultimo termine è inteso nel senso ottocentesco, ovvero di espressione (musi-coreutica) dell’animus di un popolo, magari non numeroso, regionale, ma ben circoscritto ed identificato da un’unità di tradizioni, anche artistiche. Tale seminario ha voluto essere anche un omaggio alla sede comunale ospitante: il Museo di Roma in Trastevere, ex-Museo del Folklore e dei Poeti Romaneschi, dove ancora si conservano preziosi documenti letterari, iconografici, musicali sulla vita popolare a Roma nei secoli passati. Nell’impossibilità di accludere una registrazione videografica del workshop, questo volume accoglie i contributi dei suoi due ideatori e interpreti, Marcello Cofini e Gloria Giordano. Cofini firma Il saltarello popolare dell’Italia Centrale è una danza in 2/4 o in 6/8? Comunque binaria! e Giordano Il Saltarello “Danza Figurata”.

Ha coronato il convegno, nella giornata del 27 aprile, una Tavola Rotonda dal titolo Rivitalizzazione, ricostruzione, ri-creazione, ripresa: la questione dello stile. Filo conduttore sotterraneo delle tematiche presentate al convegno, elemento che non lascia tracce evidenti nella notazione, nelle descrizioni testuali e nelle testimonianze iconografiche, concetto complesso e rarefatto, spesso utilizzato ma raramente definito, lo stile si rivela un tema di riflessione cruciale nella ricerca in danza, tanto per la pratica della ricostruzione, quanto per il lavoro dello storico. Per questo si è ritenuto utile organizzare una tavola rotonda sulla questa problematica transizione. Qualsiasi ricostruzione, per quanto accurata, non restituisce l’oggetto coreografico perduto. Non aiuta la fedeltà letterale alle fonti, soprattutto quando si tratti di fonti normative, come nel caso della trattatistica o della notazione, che nel conservare codificano e regolano, tendendo a ridurre la materia a schemi di comprensione condivisibili e ad eliminare varianti e eccezioni. Altri fattori sono rilevanti: le vicissitudini della trasmissione e gli adattamenti successivi di un’opera. Un coreografo riconosce la propria opera come più autentica alla prima o all’ultima rappresentazione? O ancora, che ruolo gioca la reazione del pubblico, con i suoi gusti e le sue censure? Le ricostruzioni spesso non toccano lo spettatore moderno come l’originale che ripropongono toccò i suoi spettatori. O viceversa. Dipende dallo stile? In antropologia lo stile è quell’insieme di fattori che condizionano le abitudini motorie di una certa comunità. E’ costituito da elementi quali l’atteggiamento posturale del corpo, il tipo di stazione eretta, la relazione del piede con il terreno, l’uso dello spazio, l’uso, l’organizzazione in sequenze e l’intensità dello sforzo. L’uniformità del comportamento motorio si struttura poi in schemi motori che si rivelano fattori di identità. Se lo stile è dunque culturalmente e socialmente costruito, inscritto nel corpo individuale e collettivo e soggetto a un processo di interiorizzazione (rimandando alle nozioni di pre-movimento, pre-espressività, habitus, tecniche del corpo), rimane al margine della consapevolezza e come tale diventa difficilmente definibile se non in termini di opposizione. In termini estetici lo stile, pur incarnato e assoggettato a condizionamenti sociali e del gusto, spesso indica il libero gesto creativo dell’artista che dà vita a un’opera autentica, originale e riconoscibile. La ricerca e la definizione di uno stile proprio a un certo coreografo nel processo di ricostruzione renderebbe dunque “l’anima” all’opera d’arte (con un certo rischio tuttavia di essenzialismo).
Questa tavola rotonda è stata concepita proprio al fine di esplorare le valenze teoriche del concetto di stile e le sue applicazioni pratiche a vari ambiti cronologici e disciplinari. I partecipanti, scelti e coordinati da Barbara Sparti, hanno affrontato la questione dello stile nei loro studi e nella pratica della ricostruzione, ognuno rispetto a diversi ambiti cronologici che vanno dal Rinascimento (Barbara Sparti) all’epoca barocca (Deda Cristina Colonna), al XIX – XX secolo (Flavia Pappacena), fino al repertorio di Martha Graham (Elsa Piperno).

Se da un lato questa raccolta di contributi ben rappresenta la molteplicità degli sguardi e degli approcci che oggi convergono in AIRDanza, dall’altro svela che gli studi in danza in Italia sono alla ricerca di un’identità e di legami capaci di costruire percorsi comuni. Fondamentale resta la necessità di fare emergere un patrimonio di fonti ancora sommerse, o poco conosciute perché non ancora pubblicate. Non meno importante si rivela l’urgenza di sottomettere anche dati già rilevati e situazioni apparentemente più note al fuoco di nuovi sguardi interpretativi, che mirino a investire in modo nuovo il passato delle questioni della contemporaneità. Necessità ancora più forte ci pare quella di proseguire il dialogo, intessere relazioni tra i soci, coinvolgere i giovani e gli studenti, collaborare con le istituzioni italiane e straniere che lavorano in aree affini ai nostri scopi. Ci auguriamo dunque che la circolazione di questi scritti possa contribuire non solo a nutrire, ma soprattutto a stimolare con nuove domande la cultura di danza in Italia.

Marina Nordera
Presidente uscente di AIRDanza
Nizza, 6 giugno 2004


Si ringraziano per il convegno i membri del comitato scientifico e organizzatore: Barbara Sparti (coordinatrice), Gloria Giordano (segretaria), Francesca Falcone, Susanne Franco, Patrizia Veroli, e in particolare Marcello Cofini per i contatti con il Museo di Roma in Trastevere e l’Assessorato alle Politiche Culturali del Comune di Roma. 
Per aver raccolto i testi che figurano nel volume si ringrazia Maria Pia D’Orazi. Per l’uniformazione e la correzione dei testi Ada D’Adamo, Francesca Falcone, Susanne Franco, Patrizia Veroli.